di Antonella Petitti
Qualità e Quantità sono conciliabili nella cucina contemporanea? Concordano tutti, sono concetti che devono sempre cercare di camminare parallelamente. Una giornata intensa, come di tradizione a LSDM, anche la seconda ed ultima nella bella cornice del Savoy Beach Hotel.
La sala rossa è stata segnata da un’apertura importante e molto partecipata, quella di Chicco Cerea. Tre stelle Michelin con il ristorante di famiglia di Brusaporto “Da Vittorio”, che ha ormai superato i cinquant’anni.
Testimone di com’è cambiata la cucina italiana nel tempo, figlio di chi ha portato il pesce in Lombardia, oggi ha voluto celebrare la mozzarella di bufala con due piatti ricchi: un kraften con ripieno di mozzarella di bufala, ricotta di bufala, colatura di alici, origano fresco e chutney di pomodori verdi ed un calamaro ripieno di mozzarella affumicata, panna di bufala ed alici.
Lui…la testimonianza più forte di come si possa conciliare quantità e qualità, “è importante capire che non si possono proporre gli stessi piatti per 4 persone e per 4 mila, l’esperienza fornisce soluzioni e visioni nuove che ci permettono di fare grandi catering senza perdere colpi”.
Cucina silvestre e senza spreco quella della chef Antonia Klugmann, di casa a L’argine a Vencò ad una ventina di chilometri da Gorizia. La notizia del giorno è stata il suo ingresso nella squadra di Master Chef Italia, ed in attesa della prossima edizione (e di vedere la Klugmann all’azione davanti alle telecamere) la sua cucina ha conquistato tutti.
Uno spaghettone con sughetto di fegato di seppia, seppia cruda ed alloro e poi un “formaggio creativo” che Antonia metterebbe tra il secondo ed il dolce.
Si chiama “Caffellatte” perchè ricorda quei sapori, ed è una sfera di ricotta con ripieno di mozzarella, ricoperto da una crosta ottenuta con una salsa di orzo tostato, caffè, latte e colla di pesce. Un bell’inno alla mozzarella al naturale che rappresenta il cuore di questo dessert, un esempio della cucina poco “violenta” della Klugmann che ricorda “molto spesso un cuoco quando tocca la materia prima la distrugge”.
Da Barcellona è arrivato anche Paolo Casagrande. Veneto ma ormai chef di punta della cucina catalana, con all’attivo almeno una quindicina di consulenze. Anche la sua (ovviamente) una cucina espressa fatta di prodotti locali di grande qualità, dove fanno capolino con piacere anche le eccellenze italiane.
Con Lasarte conquista le prime tre stelle della città catalana, giocando con i colori e sapori. A LSDM ha portato una insalata di mare. Vi abbina la mozzarella di bufala, una spuma di peperone verde piccante e della salsa tonnata.
A seguire un sorbetto con fragole e Campari, crema d’arancio e polvere di mozzarella. E nonostante i suoi piatti di grande equilibrio, ci tiene a sottolineare “la mozzarella è un prodotto italiano di cui andare molto fieri e assolutamente da provare sul posto”.
A segnare il lato dolcissimo di LSDM numero 10 è Gianluca Fusto della Gianluca Fusto Consulting. Una lezione intensa sulla pasticceria italiana, sul suo passato e sul suo futuro. “Ormai cerchiamo dolci più leggeri, le forme sono fondamentali e cresce la consapevolezza dei ristoratori di dover offrire maggiore qualità anche se si sceglie di fare solo una panna cotta o un tiramisù”. La sua preparazione è stata un omaggio alla terra della bufala, dando centralità alla ricotta di bufala. Base che ha lavorato semplicemente con il latte di bufala ed il miele, dimostrando che “quando la materia è davvero buona dobbiamo intervenire il meno possibile”.
Da Copenaghen sono arrivati Giuseppe Oliva ed il suo lievito madre, direttamente dal Baest di Christian Puglisi. Siciliano, figlio di panettieri, ha ritrovato il suo destino per caso nella pizza in stile napoletano che Puglisi ha voluto introdurre in uno dei suoi locali. “I danesi sono aperti e sanno riconoscere la qualità. Forse proprio perchè non hanno una tradizione in materia si lasciano guidare sui gusti e noi diamo molto peso alla stagionalità”.
Con il suo impasto ottenuto con un blend di farine locali ed italiane e le 30 ore di lievitazione, Oliva sceglie gli ortaggi e le verdure della fattoria Puglisi. Per l’occasione ha proposto una pizza con l’ortica, stracciatella di bufala ed erbette tra cui il germoglio del crescione ed il nasturzio.
Dal Pomiroeu di Seregno lo chef Giancarlo Morelli ha portato l’idea di una millefoglie che facesse risaltare le diverse consistenze della mozzarella. Un piatto che omaggiasse l’oro bianco ma che si ricollega anche alla sensazione provata la prima volta in cui ha mangiato una pizza, era il 1968. Il racconto di un percorso di vita, prima che nella sua cucina, partito con le grandi esperienze (anche francesi) che hanno fatto da apripista alla decisione – a fine anni Settanta – di fermarsi nella bassa Brianza. E poi il suo appello a dare rilievo ai produttori, “coloro i quali vengono prima di noi e ci forniscono la materia prima sono preziosi”.
Un elogio alla pasta quello di Luciano Monosilio, chef del Pipero di Roma. Tre assaggi di pasta, viaggi di concetto e di stile, esperimenti. E’ partito dal passato (si fa per dire) con uno spaghetto con aglio stufato, paprika dolce affumicata ed olio evo, su cui è stato adagiato sul finire una salsa di prezzemolo e pinoli ed uova di pesce volante. Nel secondo piatto la pasta non è più stata un nastro trasportatore del sugo, ma ingrediente al pari degli altri. Qui il fusillo è stato accompagnato da due salse ottenute con Corbarini e San Marzano, finito da una lastra di pomodoro. A chiudere il trittico una provocazione, una riflessione sul futuro della pasta: un impasto ottenuto con l’aggiunta di insetti, in particolare grilli. Accompagnata dalla spungola, le interiora di maiale e la confettura di lattuga di mare ha dimostrato che solo chi conosce bene la regola può infrangerla. E Monosilio conosce le regole della buona pasta.
A chiudere la decima edizione di LSDM nella sala rossa lo chef Riccardo Camanini. Dal Lido 84 sul lago di Garda è giunto a Paestum carico di voglia di raccontare la sua cucina della memoria. Perchè la spinta nasce sempre da quel fatidico momento in cui si percepisce il primo sapore di un prodotto, ed è proprio in nome del ricordo del suo primo assaggio di una mozzarella di bufala (rigorosamente con le mani) che ha creato il suo stuzzichino. Un’ostia bagnata nell’estrazione di mozzarella, una “finta mozzarella” che riesce a replicare bene il suo senso di conforto. Ma a “confortare” davvero il pubblico della sua lezione è stato il risotto alla salvia con burro di bufala. Nella memoria c’erano lo spiedo bresciano, i tanti piatti di tradizione burro e salvia e quel ricciolo di bufala che ha segnato i piatti degli anni Ottanta, nel piatto un’ottima esecuzione da bis.