La prima volta negli USA di LSDM è stata un successo, per la partecipazione del pubblico di addetti ai lavori e per il livello degli interventi, ma pure perché si è riusciti a far conoscere alla Grande Mela non solo sapori ma anche lo “stile” italiano: sorrisi, collaborazione, convivialità e nessuna paura anche delle contaminazioni, che sono poi alla base della cucina italiana da sempre, purché trasparenti. E se nella prima giornata, dedicata alla cucina e ospitata nel bellissimo showroom di Pentole Agnelli nel cuore di Manhattan, ci hanno pensato gli interventi colti e “scientifici” di Fabio Parasecoli – docente di Food Studies alla vicina New School – e quelli cosmopoliti e ricchi di aneddoti di Giuseppe Di Martino a fare da “mediazione culturale” tra la tradizione gastronomica italiana e quella Made in USA, durante la seconda giornata dedicata ala pizza, nella suggestiva sede in stile industrial di Neapolitan Express ad Harlem, ci hanno pensato Luciano Pignataro e Scott Wiener (esperto newyorkese di pizza in tutte le sue varianti) a fare da raccordo, raccontando specificità e storia delle diverse tipologie di pizza.
Massimo Carbone, semplicità made in Italy
Ad aprire i lavori della giornata A Taste of Italy, il martedì, è stato Massimo Carbone, da oltre 20 a New York a rappresentare la cucina italiana e oggi presidente della AICNY (Associazione Italiana Chef a New York, 160 membri al lavoro nelle cucine della città), partner importante dell’evento. Carbone ha proposto un piatto semplice, equilibrato anche dal punto di vista nutrizionale, essenziale ma goloso, basato sulla qualità di materie prime che raccontano l’Italia intera: fichi neri caramellati, una fetta di speck dall’Alto Adige e una di mozzarella, buonissima e autentica. «Vent’anni fa, se andavi nei negozi di New York a chiedere la mozzarella di bufala quasi nessuno sapeva di cosa stessi parlando – racconta Massimo – oggi è molto diverso, i prodotti di qualità si trovano facilmente, dalla mozzarella alla burrata che gli americani adorano. Il problema è come servirle, io consiglio a tutti di tenere la mozzarella fuori dal frigo anche se si rischia una multa in cucina!».
Massimo Bebber, una caprese a LeCirque
Il trentino Massimo Bebber, da poco nominato Executive Chef a LeCirque New York – tempio della cucina italiana a New York – ma già da tempo tra i collaboratori di punta del gruppo di Sirio Maccioni, presenta l’altra faccia della cucina italiana, quella che non ha paura a ripensarsi e a lasciarsi contaminare da tecniche e sperimentazione pur puntando sempre alla chiara identificabilità di sapori e ingredienti. Lo chef presenta dunque la sua versione di caprese destrutturata, dove la celebre “insalata” tricolore viene rivista soprattutto nelle consistenze: i bocconcini di mozzarella diventano delle cremose e candide sfere che mantengono intatto il sapore del latte di bufala; il pomodoro si fa salsa, leggermente affumicato con legno di ciliegio; il basilico porta freschezza e croccantezza, sotto forma di fragrante sponge cake. A finire, un filo d’olio al basilico e qualche petalo di nasturzio a decorare un piatto elegante ed intrigante. Ma, spiega lo chef, a Le Cirque è anche possibile mangiare una caprese “originale”, se lo si desidera, naturalmente fatta con tutti gli ingredienti “giusti”.
Pasquale Cozzolino, la devozione Manhattan Style
Pasquale Cozzolino – l’unico uomo a dieta nel mondo ad essere invidiato da tutti – è diventato famoso per la Pizza Diet che gli ha fatto perdere il peso in eccesso accumulato negli USA a suon di pizze (e movimento fisico). Socio di Rosario Procino da Ribalta, ristorante pizzeria a due passi da Union Square che sa proporre autentica cucina e accoglienza tutta italiana senza nessuna concessione al folklore, Pasquale non è però un pizzaiolo ma uno chef a tutto tondo. Lo ha dimostrato accettando la sfida più difficile, quella di preparare per il pubblico si LSDM gli spaghetti al pomodoro: niente scappatoie per fare questo piatto semplice e buonissimo, ma solo materie prime rigorose e una grande “mano”. E non sono mancate né le une né l’altra. Non a caso gli spaghetti al pomodoro di Cozzolino – piatto best seller da Ribalta –nel 2015 sono stati nominati i migliori di tutta New York dal NY Magazine. Il segreto del successo? Gli spaghettoni di Gragnano cotti alla perfezione, una generosa dose di olio extravergine d’oliva – «non è un piatto da dieta, questo» – in cui far soffriggere l’aglio per poi levarlo, un sapiente mix di pomodori Corbarini e pomodori del piennolo, basilico dalla Palestina e il giusto tempo di mantecatura, quel tanto che basta a creare l’emulsione perfetta tra olio e pomodoro che “vesta” gli spaghetti nel modo ideale. La devozione – come qualcuno ha ribattezzato questo essenziale e delizioso primo piatto spesso portato in tavola anche dopo il dessert, come rituale chiusura di cena – conquista anche Manhattan.
Gaetano Torrente, l’equilibrio della colatura
A fare da mattatore c’era anche Pasquale Torrente ma il protagonista dell’intervento della prima giornata era lui, il figlio Gaetano che dirige la cucina di Burro&Alici a Erbusco. Abituato a portare la cucina del Sud anche ad altre latitudini, silenzioso e rigoroso, Gaetano ha lanciato al pubblico di Manhattan una sfida non da poco: gli spaghetti con la colatura di alici, prodotto simbolo di Cetara e ingrediente ancora piuttosto “esotico” da queste parti. Anche in questo caso, il segreto sta nell’equilibrio – oltre che nella qualità assoluta degli ingredienti – tra la quantità di pasta e quella di colatura, che non deve prevaricare il gusto degli altri prodotti ma diventa filo conduttore ed “esaltatore di sapore”. Olio extravergine generoso, peperoncino, aglio, prezzemolo – in estate volendo anche un po’ di pomodoro, dicono Pasquale e Gaetano – messi in padella rigorosamente a crudo, poi il tutto emulsionato con gli spaghetti (non salati, a quello ci pensa l’elisir salmastro) aggiungendo la colatura all’ultimo aggiungendo eventualmente un po’ di acqua di cottura per amalgamare. Gli spaghetti assorbono il tutto, se ne lasciano rivestire ed ecco che nasce il piatto perfetto.
Alfonso Pepe e il babà, Bitter Sweet Symphony
A chiudere la giornata A Taste of Italy non potevano che essere le dolcezze di Alfonso Pepe, maestro pasticcere di Sant’Egidio del Monte Albino famoso per i suoi strepitosi lievitati. A New York, per questa prima giornata, Alfonso ha deciso di portare un grande classico della pasticceria partenopea, il babà. Già di suo simbolo di contaminazione gastronomica – “inventato” dal re polacco in esilio Stanislao Leszczinski, arrivò poi a Napoli dalla Francia con i monsù – per l’occasione assume nuove sfumature di sapore e unisce dolce e salato in un’inedita versione “tricolore”. A cominciare dall’impasto, lavorato nel cutter con aggiunta di olio extravergine e poi colato negli stampi con il sac à poche anziché a mano come si fa di solito. Anche la bagna è diversa da quella classica: invece del rum, allo sciroppo Pepe pomodoro e basilico in infusione nell’alcool. Il babà così ottenuto – dall’aspetto molto simile a quello classico – viene servito con una crema dolce di latte di bufala, del pomodoro candito e del “pesto” di basilico. A finire un filo di olio extravergine che lucida il babà e completa la sinfonia agrodolce, tra gli applausi del pubblico e mugolii di apprezzamento.
di Luciana Squadrilli