Alessandro Negrini, la pasta come gesto (popolare)
Dopo un campano che fa il panettone, ecco un valtellinese a rappresentare la pasta a LSDM: Alessandro Negrini, nato a Sondrio, guida insieme a Fabio Pisani la cucina de Il Luogo di Aimo e Nadia. I due hanno raccolto il testimone dal grande Aimo Moroni (sempre vigile su quello che succede in cucina, ma un passo indietro), uno dei grandi maestri della cucina italiana creatore – oltre trent’anni fa, quando avere la pasta secca in carta per un ristorante di livello era considerata un’eresia – di un piatto impareggiabile e ancora oggi attualissimo: gli spaghetti al cipollotto e peperoncino.
Da lui, Alessandro e Fabio hanno preso tanto l’orgoglio per le materie prime provenienti da ogni angolo d’Italia quanto il rispetto per gli stessi prodotti, con una cucina che punta a valorizzarli al massimo. Il che non vuol dire immobilismo. Lo dimostrano bene le due ricette a base di pasta – prodotto italiano per eccellenza, in questo caso quella del Pastificio dei Campi – che Alessandro ha presentato a Milano insieme a Gianluca Biscalchin, con tempi scenici degni di un’affiatata coppia comica, tanto per ricordare che la cucina è cosa seria ma bisogna pure divertirsi e stare bene, sopra ogni cosa. Via libera, dunque, alla sperimentazione pure su questo prodotto, che non può mai mancare sulle tavole italiane anche se complica notevolmente tempi e gestione di cucina.
La pasta, infatti, è tra i prodotti meno “codificabili” nella sua preparazione – con qualche eccezione eccellente, come Scabin – e richiede una sensibilità e manualità specifica che appartiene soprattutto ai cuochi italiani, se non per DNA senza dubbio per cultura alimentare. L’Italian touch sulla pasta, insomma, è un tassello fondamentale della nostra cucina e si basa appunto sull’importanza del gesto. Anche perchè, dice Alessandro con una frase illuminante e vera, «Se in un grande ristorante ti servono 18 portate senza mai un piatto di pasta, restano 18 antipasti»
La prima ricetta si riallaccia alla tradizione, quella soprattutto meridionale di cuocere la pasta nella stessa acqua delle verdure per catturarne tutto il sapore: un “gesto” ormai perso al ristorante, dove i grandi bollitori unici lo rendono impossibile, se non a cuochi armati di buona volontà.È quasi un grand tour d’Italia questo piatto in cui gli spaghetti di Gragnano – una nuova selezione del Pastificio – vengono cotti nell’acqua delle cime di rapa, poi spadellati (e non risottati!) con diversi cavoli e brassicaee come il marasciuolo (broccolo selvatico pugliese) e infine insaporiti con un po’ di crema di nocciole (ottenuta tostando e frullando le nocciole piemontesi con acqua), un po’ di crema al tartufo e pochissima colatura di alici di Cetara; a finire, un filo d’extravergine pugliese di Peranzana, dal profilo intenso e deciso.
Nel piatto, Alessandro non ha timore di lasciare la verdura in pezzi ben visibili: «Basta con queste salse quasi impalpabili, basta estrazioni e concentrazioni. La pasta va portata nell’alta ristorazione ma senza perdere la sua essenza di piatto popolare». Il secondo piatto è quello della sperimentazione spinta, che suona quasi come una provocazione: la calamata del Pastificio viene stracotta per ben 50 minuti – «Si può fare solo con una grande pasta, estrusa con una cartella alta e con una maglia glutinica ben assemblata» sottolinea lo chef scherzando sulla “cottura valtellinese” della pasta – fino a diventare quasi gelatinosa ma senza disfarsi. Fatta stiepidire, per riprendere appena un po’ di consistenza, viene servita con elementi “secchi”, a contrasto: il marasciuolo disidratato, il profumato origano dell’oasi di Vendicari, il topinambur disidratato, il cedro candito e di nuovo il tocco “tannico” dell’extravergine di Peranzana.Non un primo piatto, naturalmente, ma un gioco per ragionare sulle possibili, infinite sfaccettature di questo grande prodotto.
Ilario Vinciguerra, essenzialità e sperimentazione
Ormai un aficionado della manifestazione, lo chef nato a Casoria ma ormai da 15 anni in Lombardia rappresenta l’avanguardia della sperimentazione sulla mozzarella di bufala. Sarà per le sue origini, per l’imprinting culturale avuto da piccolo o per l’amicizia con i migliori casari della Campania, Ilario Vinciguerra riesce sempre a tirare fuori ricette dove la materia bufalina viene interpretata in modo nuovo, e dove l’essenzialità di preparazioni e ingredienti – mai più di tre elementi in un piatto, è la sua regola – si sposano a ingegno e sapore.
A Milano Ilario presenta due piatti “di testa e di recupero” come sottolinea Carlo Spinelli che, oltre a presentare la lezione, si è trovato pure a fare da “secondo” allo chef aiutando a impiattare. «È vero che la mozzarella è eccezionale così com’è – conferma Vinciguerra – ma c’è tutto un mondo attorno che spesso viene trascurato». Così, come ha già fatto in passato in molti piatti presentati al congresso e poi inseriti nel menu del suo ristorante a Gallarate – per esempio Sud: tortelli di pomodoro, acqua di provola e cristalli di basilico – a Milano presenta due piatti in cui la mozzarella non c’è, ma ci sono dei suoi “derivati”. Nel primo caso, il Risolio – il famoso risotto mantecato con olio extravergine d’oliva anziché burro, interpretazione “sudista” e leggera di un piatto tradizionalmente nordico – viene preparato facendo cuocere il riso (tostato in olio e poi fatto riposare per 24 ore prima della cottura) con un “brodo” a base di acqua di governo della mozzarella – “l’anima liquida della bufala”, che ne trattiene l’essenza – e latte concentrato in uguale proporzione.
Si ottiene un riso in bianco sapido e leggermente acidulo che contrasta in maniera piacevolmente interessante con la crema di prugne sul fondo del piatto: a ogni forchettata, un gioco alla rincorsa della mozzarella che ogni tanto sembra sparire per poi tornare a farsi sentire, tra rimandi di acidità e dolcezze diverse. Nel secondo piatto, adesso in carta al ristorante, torna il latte concentrato di bufala: un prodotto “della memoria” – «quando ero piccolo, ce lo portava un casaro amico di famiglia e mia madre ci preparava la pasta ricorda lo chef » – messo a punto in collaborazione con uno dei caseifici partner di LSDM.
In questo caso viene ulteriormente concentrato, riducendolo ulteriormente con un pizzico di sale per levare ogni dolcezza, e poi emulsionato con un frullatore a immersione fino a ottenerne una schiuma leggera. Su di essa, posiziona un cuore di indivia cotta sottovuoto al roner con un filo d’extravergine e poi “asciugata” e rosolata appena in padella. Sopra, della bottarga di tonno grattugiata al momento. Anche in questo caso un bel gioco di sponda tra sapidità e umami, dove resta – a lungo – la nota amarognola dell’indivia appena smorzata dalla lattosità del concentrato. Un antipasto calibrato al millimetro perché, ricorda lo chef, «in cucina è più difficile togliere che mettere».
I Costardi Bros e il menu dolce senza zucchero
La chiusura dell’appuntamento milanese tocca al dolce, ma anche in questo caso le sorprese non mancano. Ai fornelli, moderati da Paolo Vizzari, i fratelli Christian e Manuel Costardi: “cuoco salato” il primo (di solito frontman dell’affiatata coppia di lavoro), “cuoco dolce” il secondo, solitamente in retroguardia. Una definizione, quest’ultima, che rende bene l’idea del lavoro di Manuel: non un pasticcere, né per formazione né per vocazione, ma un cuoco a tutto tondo che si dedica al “fine pasto”, applicando alle preparazioni dolci un approccio da cucina più che da pasticceria.
I duoi dessert sono in qualche modo una prosecuzione del salato – «Ci metto sempre un cristallo di sale Maldon, che serve a “interrompere” la sensazione del dolce e permette di andare avanti e mangiare ancora» spiega Manuel – ma anche un’ottima conclusione. In questo caso, però, i Costardi Bros non si limitano a presentare un dessert ma un intero menu. Dolce, o meglio “non salato”. Una sfida che nasce qualche tempo fa a Tarvisio – circa 500 km a Nord-Est di Milano – da una chiacchierata informale tra i fratelli, Albert Sapere e Simone Vizzari, fratello di Paolo: da un’idea buttata lì un po’ per gioco un po’ per provocazione, e presa sul serio dai Costardi, è infatti nato il menu presentato a LSDM (e da oggi proposto anche al ristorante dell’Hotel Cinzia, l’albergo di famiglia a Vercelli), composto da preparazioni già in carta: due “dolci”, un intermezzo molto particolare, e poi ancora due “dolci”.
Qualcosa di simile a quanto proposto a Barcellona da Espai Sucre, tanto per fare un esempio, ma mai tentato in Italia. Si parte con il Riso croccante, zucca e nocciole: riso in doppia consistenza (una polentina morbida e il riso crunch realizzato appositamente per loro), granella di nocciole e crema di zucca aromatizzata con buccia d’arancio e il suo olio essenziale. A finire, il gelato di nocciola fatto con l’azoto liquido e l’immancabile scaglia di sale. Un gioco di temperature e consistenze il cui scopo è quello di «creare in bocca un bordello» Seconda tappa: Ivoire, una cagliata di cioccolato bianco fatto con caglio vegetale (ottenuto con un concentrato di ortaggi come sedano, finocchio o cardo) senza zuccheri aggiunti, servito con un centrifugato di mela, sedano e finocchio e una granita di mela Granny smith.
La freschezza dove non ce la si aspetterebbe. L’intermezzo “dall’orto” – da mangiare rigorosamente con le mani – è rappresentato da una una carota viola arrostita al naturale, poi passata in padella con burro e rosmarino e “speziata” con lime in due versioni (scorza e succo), sale di Maldon, pepe ed extravergine – in questo caso quello intenso e piccante di Dievole, tenuta toscana che fa splendidi prodotti – servita con un crumble salato che ricorda le briciole di pane raccolte sul piatto, un gesto di golosità quasi infantile. Arriva poi InVidia: gioco di parole che parte proprio da una foglia di indivia belga, servita come “contenitore” di un susseguirsi di sensazioni e sapori che procede in base al verso in cui si mangia la portata: per metà nettamente liquirizia (in crema) e per metà nettamente mandorla (sia in crema, ottenuta frullando le mandorle con dell’acqua frizzante a velocità, sia in granita ottenuta con l’azoto liquido, ad annullare il gusto amarognolo dell’indivia).
Nel mezzo, veloci guizzi di limone (in scorza, a dare acidità) e polvere di capperi per dare sapidità. Si chiude con un dolce “più dolce” – ma non esattamente canonico – che ha appunto la funzione di dessert finale: il Cannolo di pasta creato due anni fa per il congresso di Paestum, realizzato con la doppia frittura di un pacchero di Gragnano cotto in acqua, sciroppo, scorza d’arancia e vaniglia, farcito con ricotta di bufala e scorza d’arancia, spolverato di zucchero a velo e servito con della marmellata d’arancio che riequilibra il boccone, insieme all’immancabile cristallo di sale.
Una chiusura coi fiocchi, in omaggio a LSDM e a Davide Scabin, il mago della pasta.
Di Luciana Squadrilli