Leonardo Pereira, chef portoghese giramondo – ha lavorato al Noma, ma è stato pure in cucina da Crippa solo per citare alcune esperienze – è in procinto di aprire il suo ristorante a Lisbona (ancora in cerca di nome) e sogna prima o poi di tornare nella natia Porto per lavorare quasi esclusivamente con i prodotti della fattoria di famiglia.
Moderato da Eleonora Cozzella, si presenta con piatti e idee dalla semplicità disarmante, ed estremamente convincente. I suoi utensili d’elezione non sono pinze o contagocce ma le mani, dietro ai suoi piatti c’è molto pensiero ma nulla di artefatto e punta a riscoprire la cucina di 100-200 anni fa, perché secondo lui è quella, per lo meno in Portogallo, la vera tradizione.
Senza essere “vegetariano” dichiara il suo amore per il mondo vegetale (e floreale), si fa da sé burro e panna per la sua cucina e adora pure il quinto quarto, che in Portogallo non è proprio pane quotidiano.
Al congresso presenta dunque due piatti che dimostrano in pieno il suo approccio spontaneo, quasi primitivo e un po tippie al cibo, basato su una cucina totalmente espressa e su prodotti più buoni che belli: gli asparagi bianchi (prodotto di lusso come per altri sarebbe il foie gras), caramellati e appena croccanti, vengono tagliati sottili e accompagnati da una salsa a base tempeh (preparazione vegana di origine indonesiana, solitamente a base di soia ma da lui rivisto con diversi tipi di legumi) addensata e resa più acidula dall’aggiunta dell’acqua di governo della mozzarella che ben si accorda alla sua “fissa” per la fermentazione; completa con il tocco di colore dei petali di papavero dall’insolita nota di nocciola fresca.
Di grande effetto cromatico anche il secondo piatto a base di cavolo viola grigliato “come se fosse una bistecca” e laccato con il suo succo, accompagnato dalle note acidule del kefir fatto con il latte di bufala, e dai fiori di ortica e rosmarino, trait d’union mediterraneo tra Italia e Portogallo. E la mozzarella? «Ancora non mi sento pronto, è un prodotto troppo “maturo” e completo di per sé, come il baccalà in Portogallo. Magari ne riparliamo tra qualche anno!».
di Luciana Squadrilli
foto di Alessandra Farinelli