La giornata conclusiva del congresso si divide in due, o meglio in quattro.
Al mattino si parte con la pizza, di cui per il momento si parla soltanto (per gli assaggi, ci sono gli Atelier del pomeriggio in cui i protagonisti della mattinata sfornano le loro creazioni). Due coppie di grandi pizzaioli, rappresentanti di “scuole” e stili diversi, si avvicendano sul palco: prima Franco Pepe e Salvatore Salvo, entrambi con una lunga storia di famiglia alle spalle ma anche artefici di grande lavoro di ricerca e innovazione, tanto sugli impasti che sulle materie prime da utilizzare per i condimenti. Entrambi esempi anche del “valore sociale” del lavoro del pizzaiolo e delle sue pizze, considerando l’indotto creato sui grandi e piccoli prodotti del territorio che hanno cercato e selezionato con attenzione certosina facendo rete con allevatori, coltivatori e produttori.
E se i Salvo le presentano orgogliosamente nel menu – a cominciare da mozzarella e fior di latte, di cui Salvatore spiega con perizia quasi scientifica differenze e pro e contro sulla pizza – Franco Pepe sale sul palco non solo con l’agronomo e collaboratore Vincenzo Coppola ma anche con la giovane Imma Migliaccio, dal cui orto provengono le straordinarie verdure che usa per le sue pizze a cominciare da quella creata appositamente per il congresso: la Bufala Incavolata (cavolo rapa e Mozzarella di Bufala Campana Dop messi a cotto e a crudo, con l’aggiunta della rucola selvatica).
Diversissimi invece Gabriele Bonci – il “mago” della pizza in teglia alla romana – e Gino Sorbillo, grande interprete della tradizione partenopea più stretta, ma entrambi artefici di una vera “rivoluzione” della pizza tanto dal punto di vista tecnico che da quello comunicativo.
Seconda tranche dedicata alla “bistronomia”, con il giovane chef sardo Simone Tondo che arriva direttamente da Parigi, e dal suo acclamatissimo Roseval, per presentare la sua cucina basata su sapori netti e piatti instant-made, con un occhio al food cost. Bellissimo il suo sgombro con crema ricotta di bufala e rosmarino, colatura si alici di Cetara, ricotta mustia di Macomer, rabarbaro e lamponi disidratati, bella anche la sua riflessione su materie prime, costi e territorio: il suo secondo piatto – che accosta provocatoriamente il burro, grasso “nordico”, alla mozzarella di bufala e ai fantastici gamberi crudi e alle ciliegie – a Paestum avrebbe un food cost da bistrot, ma a Parigi si potrebbe fare solo in Tre Stelle.
Terza tranche, la più consistente della giornata, dedicata ai grandi cuochi stranieri chiamati per la prima volta a interpretare la bufala e i suoi prodotti. Si parte con Quique Dacosta, da Denia, che propone un bel parallelo tra il territorio valenciano e quello cilentano e presenta diversi piatti in cui mozzarella, latte, siero e yogurt che diventano di volta in volta gelatine, cristalli ghiacciati, liquidi di lavorazione per basi croccanti o eteree a base di obulato, contraltare a crudo per i gamberi di Denia, in piatti molto complessi che sono sopra ogni cosa suggestioni. “Lo strumento principale per ogni chef – dice Dacosta – è il “palato mentale”: ogni piatto deve essere il frutto di un lavoro non solo fisico, ma anche mentale”. Divertente la sua mochi-rella,un “bocconcino” di crema di mozzarella affumicata racchiusa in una pasta di farina di riso e siero, dalla consistenza che ricorda quella del mochi giapponese.
All’opposto, il basco Josean Alija – che crea le sue opera al Nerua, il ristorante del Guggenheim di Bilbao – presenta piatti che ricercano l’essenza delle forme e dei sapori. Alla base, come sempre nella sua cucina, un attentissimo studio sul prodotto: solitamente ortaggi, in questo caso la mozzarella. Tra i tanti assaggi presentati, colpiscono per immediatezza il pomodorino (di cui, essiccandolo in forno, non resta che un involucro sottile) farcito con un’emulsione di “latte di mozzarella” aromatizzato all’origano: una sorta di caprese in versione finger food, un concentrato di sapori noti in forma nuova. E il semplice ma indovinato omaggio a due territori lontani, quello da cui proviene e quello che lo ospita: le uova di acciughe fresche (quelle fantastiche del Cantabrico) prelevate con grande cura in questa che è la stagione giusta,vengono servite in un piatto con del siero di mozzarella leggermente addensato e appena tiepido, esaltandosi a vicenda.
Tocca poi alla grande cucina francese con Jean-François Piège, astro della cucina parigina. Niente grandeur, però, ma dei piccoli snack che rendono omaggio ai prodotti, dalla mozzarella al pomodoro, e ai ricordi di infanzia ricercando la semplicità e l’immediatezza in chiave mediterranea: le “pizzette-soufflé” che nascondono un cuore di olio extravergine aromatizzato con origano e altre erbe aromatiche, ricoperte con sottili fette di treccia di mozzarella di bufala, polvere di pomodoro, olive, erbe e fiori, e le “bruschette” – cubi di pane tostato e caramellato – imbevute nell’acqua di insalata pomodoro e serviti con della mozzarella di bufala tagliata a pezzettini, erbe acidule e pungenti, olio d’oliva e una “neve d’acciughe” fresca e intensa al tempo stesso.
Ultima tranche con due grandi chef italiani che rappresenteranno il nostro paese alla prossima edizione di Gastronomika, il congresso internazionale di cucina a San Sebastian: Alessandro Negrini e Gennaro Esposito. Il primo esalta l’importanza del gesto del cuoco, e del suo controllo: ogni cosa va seguita, curata, calibrata con cura ed esperienza, èquesto – insieme ai grandi prodotti usati, che lui e Fabio Pisani ricercano tra le eccellenze di tutta Italia per i piatti di Aimo e Nadia – che rende grande un piatto, a dispetto di ogni tecnica e tecnologia.
Il suo piatto sembra semplice ma non lo è per nulla. Un “raviolo” di seppia (fuori seppia cruda tagliata sottile, dentro una farcia consistente ottenuta senza addensanti a base di tentacoli e interiora di seppie) accompagnato da una tavolozza di sapori e colori: gelatina di lampascioni, maionese di pistacchi di Bronte, nero di seppia disidratato e polverizzato, foglie di melaleuca e citronella, marmellata di limoni, zenzero, gelato di piselli freschi e poi la lieve nota affumicata del latticello di provola (ottenuto facendola macerare per una notte nel latte di bufala, poi portando a 50°, frullata e setacciata).
Come è ormai tradizione, tocca a Gennaro Esposito chiudere con due piatti lineari, “morbidi” ma molto interessanti: le tagliatelle di seppia con mozzarella di bufala e salsa di pomodori invernali (gli ultimi superstiti dell’orto della mamma, per assaggiarlo al ristorante bisognerà attendere l’anno prossimo) e il gelato servito con una sottile sfoglia dalla particolare friabilità ottenuta sostituendo il burro con un “burro di bufala” ottenuto dalla lavorazione di una treccia di mozzarella, frullata, passata al setaccio e poi lasciata in frigo diverse ore fino a ottenere un “panetto” da usare come il burro normale.